Viale dei Castagni, 16 performance realistica e pubblico ingessato

Il teatro Bolivar nel cuore di Materdei, uno dei quartieri più popolari di Napoli, è un luogo d’arte e cultura tra vicoli stretti, palazzi pregni di storia, istallazioni contemporanee e profumi di tradizioni. In questa atmosfera surreale, in questo luogo difficile da cui ci si guardava bene dall’inoltrarvisi fino a qualche anno fa, oggi più che mai pulsa il cuore caldo di un teatro che, nonostante le continue difficoltà, fa cultura. Al teatro Bolivar va in scena anche la danza, quella anticonvenzionale e sperimentale, quella dal taglio contemporaneo e attuale, lontana dalla tradizione e dal prevedibile e in linea con la voglia di ricercare significati e linguaggi nuovi.
Andato in scena il primo di dicembre all’interno della rassegna B.author a cura di Chiara Alborino e Fabrizio Varriale, Viale dei Castagni 16 – una produzione Associazione Sosta Palmizi e Associazione Fattoria Vittadini – , spiazza il pubblico in un’atmosfera imbarazzante che dimostra la mole di preconcetti ancora insita nello spettatore della danza. Il pubblico è piuttosto scarno, ma l’attenzione e il coinvolgimento sono all’apice: rido? piango? è angosciante o è leggero? è una caricatura o una denuncia sociale? Ecco l’imbarazzo che frena e inibisce il libero fluire delle emozione nello spettatore, e questo succede perché forse lo spettatore è ancora troppo “ingessato” di fronte alla rappresentazione del contemporaneo, ovvero del tempo che egli stesso vive.
Viale dei Castagni 16 è un lavoro nel suo genere eccellente: una coppia di giovani partner accende la luce sulla propria quotidianità tra tv, spuntini, litigi, risate fino al tenero fare l’amore. L’alternanza dei sentimenti messi in scena è ripida, si passa dall’essere complici all’essere nemici, si scivola dalla condivisione alla lotta per la sopravvivenza e l’affermazione di sé e delle proprie esigenze. Si comincia da giovani e belli, per finire vecchi e grassi. Tutto realistico all’inverosimile, e allora perché l’imbarazzo nel pubblico? Perché gli spettatori, abituati ad una danza contemporanea quasi sempre astratta o simbolica sono confusi dinnanzi alla narrazione fedele e verosimile della loro stessa vita e finiscono per restare confusi nella ragnatela delle possibili reazioni. Le doti interpretative dei due perfomer sono visibili, Olimpia FortuniPieradolfo Ciulli vivono realmente ciò che danzano, con confidenza e trasporto e coinvolgimento fino a sfondare il muro tra palco e platea in un’atmosfera tanto ambigua quanto la sensibilità di chi guarda. Infatti, se si osserva con leggerezza e semplicità si dà libero sfogo al riso, ma se si osserva con coscienza di causa allora risulta tutto un po’ amaro e dinnanzi agli egoismi e alle incomprensioni del quotidiano raccontate in viale dei Castagni 16 il riso svanisce. Ma nessuna delle due game di reazioni è giusta o sbagliata sia chiaro.
La serata procede nel secondo tempo con un lavoro che è il risultato di un workshop tenuto da Chiara Alborino e Fabrizio Varriale. Testi recitati dal vivo, voci fuori campo, un gruppo di giovani danzatori sperimenta forme di linguaggio scenico portatrici di messaggi universali: la tolleranza, il reciproco rispetto, l’uguaglianza nella diversità. Un laboratorio che, vedendo il risultato, ha senza dubbio segnato i partecipanti che sono allo stesso tempo attori, registi e creatori, insieme con i direttori artistici, del lavoro andato in scena.

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