Giovani danzatori fate della danza la vostra professione e mortificate chi vi mortifica



Quando mi è stato proposto di intervenire a Cunae, incontro sul tema del cambiamento generazionale condotto da Giulio Baffi presidente dell'Associazione Italiana Critici di Teatro, ho immediatamente visualizzato un diagramma cartesiano che illustrasse due grandezze inversamente proporzionali  A e B rispettivamente identificabili come l'EGO del maestro e il FUTURO dell'allievo.

Si può senza dubbio dire che, considerando la DANZA come il fattore costante per le due grandezze indicate, al decrescere del primo elemento risulti la crescita del secondo. Quindi, quanto più il maestro- che poi si può identificare col coreografo,il produttore, il regista, il direttore o comunque il datore di lavoro – si fa da parte ed è in grado col passare del tempo di ridimensionare il proprio EGO tanto più al giovane allievo – identificabile anche con il danzatore alle prime armi, il membro di una compagnia – è data la possibilità di crescere. Al contrario quanto più l'EGO del primo fattore cresce tanto più le possibilità di successo del secondo diminuiscono. Nel senso che, se un maestro riconosce nel suo allievo un talento ha l'obbligo morale di creare per lui tutte le condizioni affinché possa fare della danza IL SUO MESTIERE senza trattenerlo nella trappola infernale delle mura della scuola in cui è cresciuto e rischia d'invecchiare come assistente, collaboratore, tirocinante ecc.

Questo pensiero mi ha colta di sorpresa e il suo palesarsi così spontaneo e immediato mi ha fatto comprendere quale sia la natura del disagio che un giovane professionista può vivere sulla sua pelle. E allora ecco che la realtà mi si presenta ancora una volta dicotomica dove ad essere doppia è la percezione che il giovane ha di sé e del suo occupare un posto nella società, una sorta di APPERCEZIONE leibniziana in cui è necessario e vitale avere coscienza e ancor più consapevolezza della natura e della causa delle proprie percezioni. 

Mi spiego meglio: sono un giovane danzatore, studio da anni con assiduità e devozione, semino con la speranza, e insieme la certezza, di raccogliere un giorno i frutti della mia fatica. Cresco tra le mani del mio maestro, a cui mi affido con slancio incontrollato e in cui confido come guida e faro per il mio futuro. Arriva il giorno della mia maturità artistica, sono pronto ad esibirmi - possiamo prendere anche il caso di altre figure professionali, ad insegnare, a coreografare- e il mio maestro me lo consente dandomi l'opportunità di crescere artisticamente e professionalmente. Ecco, qui entra in gioco l'APPERCEZIONE  di cui parlavo prima. Io percepisco delle sensazioni: gioia, soddisfazione, orgoglio, autostima. Sono però in grado di percepire in maniera razionale quello che sto percependo e di conseguenza sono in grado di comprendere la natura effettiva delle mie percezioni e la loro causa scatenante? 

Ragioniamo: sono soddisfatto perché? Ovviamente perché il mio maestro, che poi è la mia guida, mi consente di insegnare, creare, esibirmi e dunque lavorare. Ma la causa per cui questo avviene è riscontrabile nell'altruismo artistico e professionale di chi mi dà un'opportunità o nel suo immediato tornaconto personale?
E si arriva all'ETEROGENESI dei fini di cui parlava Machiavelli, ossia: apparentemente il fine che mi ero prefisso l'ho raggiunto (il professionismo), ma la genesi dei fattori che mi hanno portato fino qui qual è? Ecco, bisogna uscire fuori da questa nebbia, bisogna dissipare le nubi e cominciare a percepire in maniera chiara e nitida la nostra posizione in quello stesso mondo che abbiamo fatto di tutto per costruire, senza che diventi il terreno fertile e giovane su cui chi ci ha preceduto ha una rinnovata occasione di continuare ad esistere sfruttando la nostra giovane linfa. 

Cambio generazionale vuol dire appunto CAMBIO, altrimenti si sarebbe chiamato collaborazione, partnership, gemellaggio, ma non chiamiamolo CAMBIO se non si ha la generosità e l'altruismo di farsi da parte. L'importanza di chi ha più esperienza e saggezza non si mette in discussione tra queste mie riflessioni, il bagaglio immenso che si accumula tra i pensieri e i gesti di chi vive di danza da decenni non vacilla a causa delle mie parole, semplicemente il passo tra l'essere fautori di un cambiamento e l'essere responsabili di una dittatura che sfrutti l'energia dell'altro in una spirale malata e perversa di dipendenza mista a eterna riconoscenza, nell'accezione negativa del termine, è molto breve ed è estremamente semplice, oltre che diabolico, urlare ad un proprio allievo o collaboratore tutta la sua grandezza e bravura e poi sussurrargli all'orecchio in maniera forse impercettibile la sua dovuta riconoscenza per occasioni che nessuno gli avrebbe dato. 

Il cambio generazionale non avviene e non può avvenire finché i giovani resteranno sempre figli di qualcuno, finché non avranno il coraggio di imporre la propria dignità e indipendenza come primo baluardo verso il professionismo e finché non pretenderanno di essere valorizzati economicamente e contrattualmente. 
LA DANZA DEVE ESSERE UN  LAVORO. Non vi fate abbindolare da chi dice che dovete danzare per voi stessi e per la passione che nutrite per quest'arte, perché tutto ciò è implicito e ovvio nel concetto di artista. Il professionista deve camminare con le proprie gambe, raccogliere i frutti del suo lavoro ed essere retribuito.

Se si aspetta troppo il cambio generazionale non avrà più motivo di esistere, perché il giovane che varca la soglia del professionismo rischia di invecchiare sotto l'ala protettrice e sfruttatrice di un maestro, un produttore un direttore ormai decrepito e si finirà per saltare una generazione senza neanche essersene resi conto.

Il cambio generazionale deve sì partire dai giovani, ma prima di tutto deve partire dalla crescita della generosità della vecchia guardia e dalla decrescita del suo ego.

Senza il rinnovo e la circolarità e fluidità dell'arte la creatività si ripiega su se stessa, le nuove idee si annichiliscono e l'entusiasmo che il giovane professionista aveva al principio diviene lo stesso che prova un impiegato di banca allo sportello che conta banconote da 20 anni e nell'arte questo non è tollerabile!
Senza il cambiamento e senza il giovane entusiasmo la danza diventa una mummia che neanche più i paleontologi vogliono studiare.

Giovani danzatori alzate la testa e unitevi, perché è facile mettere su compagnie senza retribuire. Mortificate chi mortifica la vostra dignità e fate della danza la vostra PROFESSIONE.

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