Boris Eifman dà voce alla grande Russia

Per chi ama la letteratura russa del XIX secolo assistere al lavoro di Boris Eifman Anna Karenina è un'esperienza di completo rapimento estatico e d'immedesimazione senza scampo. Riprodurre sul palcoscenico le contraddizioni della società sanpietroburghese di metà '800 risulterebbe impresa ardua, se non impossibile, a molti perché, se pure la danza sia a mio dire uno tra gli strumenti più efficaci per la comunicazione, mettere insieme l'aspetto narrativo, quello descrittivo, quello emozionale e restare fedeli al contesto storico senza l'uso di una voce narrante, di un canto, di un testo è da geni.

Ho visto sul palcoscenico del Teatro San Carlo la bellezza pura, la bravura, il virtuosismo e l'emozione commovente e commossa di un'Anna Karenina interpretata da Natal'ja Povoroznjuk, la forza e la sicurezza fisica ed espressiva, di Karenin interpretato da Pavel Moskvito e la compostezza e l'eleganza, a volte devo confessare snervante, di Vronskij interpretato da Igor' Subbotin.
Tanto per cominciare le scenografie svelate dal sipario, sobrie e maestosamente imponenti allo stesso tempo, opera del maestro Zinovij Margolin hanno giocato un ruolo assolutamente primario nella riuscita della riproduzione del capolavoro letterario in gesto danzato: spazi ampi, praticabili, che davano profondità alla scena in tutte le direzioni, specchi amici e nemici che di volta in volta angosciavano, spiavano per poi svelare i misfatti dei due amanti,ma anche l'impatto oceanico del corpo di ballo ne era valorizzato risultando moltiplicato nel numero degli elementi.
I costumi di Vjaceslav Okunev erano sublimi ed eleganti, il tessuto inondava di luccichio la scena rendendo i movimenti sensuali e infiniti. Gleb Fil'stinskij ha invece creato un disegno luci di altissimo livello tecnico e artistico amplificando la coreografia e restringendo il campo visivo che irrimediabilmente si trovava costretto entro uno spazio ben individuato.

Eifman possiede una capacità coreografica eccezionale, utilizza elementi e dettagli che si ripetono e che traducono perfettamente un sentimento, uno stato d'animo soggettivo, ma anche e soprattutto collettivo. Di forte impatto infatti il ruolo svolto dal folto corpo di ballo che di volta in volta interpretava l'inconscio di Karenin, la confusione di Vronskij, ma anche la condanna della società aristocratica nei confronti Anna calunniata, emarginata e condannata. Esecuzioni al limite del perfetto, un unisono impeccabile e un'interpretazione magistrale della durezza e tragicità degli eventi.

Qualche intoppo nei pas de deux Anna/Karenin c'è stato, forse dovuto ad un turbinio di prese che a volte diventava ingestibile a causa del costume indossato da Natal'ja Povoroznjuk, difficoltà sottolineate anche da una défaillance, nel medesimo passo a due, in cui Natal'ja pare quasi "cadere" dalla spalliera del letto invalidando la presa di Pavel Moskvito. Problemi completamente dimenticati  un attimo dopo, perché tutto il resto, ma davvero tutto, era impeccabile.

I pas de deux con il marito erano comunque di un impatto visivo terrificante, risultato perfetto di un rapporto malato e deteriorato dalla repulsione di una donna ormai rigida e innaturale, irregimentata e assoggettata ad un insieme di regole formali che le ottundevano i sensi in maniera disumana. Le coreografie danzate dalla coppia Anna/Vronskij invece (se pure come già sottolineato il ballerino non mi abbia del tutto convinta) erano un meraviglioso tripudio di amore e passione, desiderio e speranza. L'arrendevolezza senza argini di una donna al suo uomo si materializzava in una serie di "scivolate" al limite dell'equilibrio che terminavano sempre tra le braccia sicure dell'amato.

L'altalenante atmosfera portava dunque lo spettatore a ritrovarsi felice e disperato, angosciato e sollevato difronte alle vicende di una donna che è madre, moglie e amante e la cui trappola psicologica finisce per condurla al suicidio.

Nel secondo atto il livello coreografico subisce un' ulteriore impennata stilistica e si susseguono, uno dopo l'altro in maniera incalzante, sequenze di gruppo, assoli e pas de deux da lasciare impietriti. Primo su tutti il quadro della festa in maschera, emblematica messa in scena dell'allontanamento della fedifraga dai salotti dell'alta società: meravigliosi ancora una volta i costumi e disegni coreografici intrecciati e sinuosi, precisi e geometrici a tal punto da far impallidire gli alti ufficiali delle parate del Reich.

Tutta la mia ammirazione va però alla parte conclusiva dell'opera di Eifman: un trionfo musicale romantico e appassionato seguito dalla rappresentazione della voluttà e del desiderio carnale. Corpi nudi, gambe che s'intrecciano, spirali concentriche in cui perdersi è tanto facile quanto è difficile liberarsi. Confusione, libertà, ebrezza, godimento allo stato puro. Chiome selvagge sciolte e fluenti, membra agitate dal caos che gridano un solo imperativo: le confessioni della carne portano inesorabilmente alla condanna sociale e divina.

Con Boris Eifman la Russia si conferma zar di tutte le danze!
















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