Doris Humphrey, the Art of making Dances la prima Bibbia di chi crea col movimento

Doris Humphrey (17 ottobre 1895/ 29 dicembre 1958) riconobbe in sé l’esigenza di danzare fin da piccolissima, stimolata dalla musica che la madre ascoltava in casa e sulla quale creò le sue prime coreografie. Il fascino per le melodie la portò a tentare la strada della composizione musicale, ma capì presto di non avere talento eppure dentro di lei un’altra forma d’arte era allo stadio embrionale e si accingeva ad uno sviluppo eccezionale. Iniziare a studiare danza nella piccola cittadina in cui viveva fu l’inizio di una strada che l’avrebbe portata al grande successo, perché la sua insegnante riconobbe in lei talento e genio, novità e passione. Il giorno in cui, ormai terminata la scuola superiore, la convinse a studiare danza a Los Angels fu l’inizio della svolta che ancora oggi si ripercuote su tutti noi.


È pur vero che la scuola in cui Doris entrò era quella di Ruth St. Denis e Ted Shawn, pionieri della rottura definitiva col balletto convenzionale e con la danza codificata, che, una volta riconosciuto in lei il dono speciale di cui era dotata, la portarono in giro per l’esotico Oriente. Una tournée lontano da casa, in compagnia di artisti che condividevano tutto e dalle idee anticonformiste non era proprio ciò che ci si aspettava da una giovane donna negli anni ’20 del XX secolo. Ma coraggio e libertà animavano la testa e il corpo di una giovane ragazza che, dopo 10 anni da solista nella compagnia Denishawn, decise di tornare in America e fu proprio questo suo rimpatrio a dare inizio alla Modern Dance. God bless Doris!

Ho studiato molto i suoi lavori e le sue teorie e il libro del 1958 The Art of making Dances dovrebbe essere la Bibbia di chiunque si avvicini al mestiere di coreografo. Testo analitico, diretto, organizzato logicamente e sistematicamente secondo deduzioni oggettive e incontrovertibili. Quelle della Humprey non sono teorie, ma vere e proprie tesi su cosa sia più o meno efficace e cosa sia necessario o superfluo in un lavoro coreografico che aspiri al successo.

La parola curiosità è tra le prime a far capolino dal libro e poi seguono osservatore, unicità, personalità e soprattutto senso della misura. Aldilà di ogni emotività e acuta sensibilità, aldilà dell’interpretazione e del coinvolgimento emotivo deve sempre esserci il senso della misura: “quanti balletti iniziano con un’idea stimolante espressa da una sorprendente qualità di movimento per poi vagare qua e là senza arrivare ad un apice di intensità, o avviarsi ad una conclusione incerta, un semplice arresto più che un finale? [the art of making dances, gremese editore,2001, Roma, p.23]

Il lavoro instancabile e testardo di Doris Humphrey ha dato un colore nuovo alla danza unendo l’aspetto istintivo e primordiale dell’improvvisazione con quello scientifico e organizzato della composizione. Istinto e ragione, impulso e riflessione, interiorità ed altruismo, ognuno di questi aspetti deve confluire nel lavoro del coreografo e nel rapporto che ha con i danzatori e con lo stesso atto della creazione. A volte accade che l’unione tra il coreografo e la sua composizione diventi morbosa e che si crei una dipendenza dall’idea e dalla visione fino ad esserne ossessionato: sogni e pensieri, ansie e paure. Come in una storia d’amore ci sono momenti di crisi e allora ci si aggrappa a quanto di profondo e vero resiste, si recupera ogni volta la piccola scintilla iniziale che diede il via a tutto e grazie a quel leggero alito di vita si dà inizio ad un nuovo, meraviglioso percorso insieme.

Creare è quanto di più lontano esista da un atto superficiale, è studio, disciplina e generosità. Creare alimenta la forza vitale del coreografo e il riverbero che ha sui danzatori e sul pubblico non muore mai, esiste per sempre e diventa, per ogni osservatore del futuro, arricchimento e conoscenza.

Abbiate coscienza nel creare, abbiate rispetto e inventiva. Abbiate Doris nel cuore.

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