L'uomo che costruisce se stesso: dall'impetuosità primordiale alla manipolazione di un corpo docile

 


 Il logos, ovvero il linguaggio, la logica, la conoscenza e le pratiche che ne derivano avviluppano il corpo, gli istinti, la natura dell’uomo. L’impetuosità primordiale e ancestrale è violentata da fiumi di discorsi e teorie che civiltà dopo civiltà hanno intessuto una rete di false convinzioni inibendo la naturale fierezza del tipo umano. Il pensiero che precede inevitabilmente l’azione, che la frena, la razionalizza, la inibisce, la chiude in rigidi schemi universalmente validi non fa che omologare, amalgamare e uniformare ciò che per natura è unico: l’uomo in quanto tale. L’uomo-natura, l’ uomo-istinto, è priorità assoluta recuperare la natura perduta.

E' da considerare però quale sia il significato di "natura", esso non deve infatti in nessun modo ricondurre all'idea che ne avevano i giusnaturalisti, ovvero il ritorno ad un'età dell'innocenza permeata da uno spirito di fratellanza e uguaglianza prima del contratto sociale. La natura di cui qui si parla è quella in cui l'uomo dispiega tuta la sua forza nella tensione tragica che la caratterizza e che nutre ogni momento i desideri, le passioni, gli istinti dell'animale-uomo. Non significa dunque in alcun modo auspicarsi il ritorno ad un'innocenza primordiale originaria, piuttosto si tratta di rifocillare la volontà di potenza attraverso lo smantellamento di un apparato arbitrariamente costruito dai tre colpevoli dei soprusi ai danni dell'uomo che Nietzsche individua nel prete, nello scienziato e nel politico. La colpa loro imputata risiede nell'aver indicato un ideale da perseguire, convincendo l'umanità della naturalità e spontaneità di tale compito. La vita avrebbe a loro dire un fine, uno scopo comune all'intero genere, esso è la conquista della felicità e la conseguente uscita dell'uomo dallo stato di animalità in cui permane. La concezione che Nietzsche ha della natura umana si discosta a tutto tondo dalla tradizione filosofica che lo ha preceduto, i suoi attacchi sono diretti a Socrate come a Platone, a Kant e al suo imperativo categorico valido indistintamente per tutta l'umanità e ovviamente all'Idealismo tedesco. Costoro - a suo dire - non hanno fatto altro che frenare le energie vitali che per natura caratterizzano l'agire umano, hanno con le loro teorie inibito quel flusso diistinti che egli chiama volontà di potenza. 

La natura umana non può essere limitata alla riflessione, alla logica o al discorso, essa è un'incessabile lotta di istinti e di forze opposte talvolta involontarie e casuali, ma pur sempre necessarie a garantire fierezza e la tragicità umana tanto ricercate e amate nella Grecia presocratica . 

L'uomo, ammalatosi col germe della morale che egli stesso ha creato per regolare e veicolare i rapporti umani, ha detta di Nietzsche, si è ripiegato su se stesso, ovvero, anziché dirigere le sue energie all'esterno, anziché agire ha finito per interiorizzare le sue stesse pulsioni, le quali dando luogo ad infiniti processi riflessivi hanno generato quella che Nietzsche definisce cattiva coscienza. 

Dapprima la coscienza dunque, poi a rigor di logica la colpa il pentimento, l'espiazione, la concentrazione su di un mondo a venire e la svalutazione del mondo terreno, questi gli elementi ripercorrendo i quali Nietzsche focalizza la sua critica sul colpevole supremo della degenerazione umana: il Cristianesimo. Dacché le dottrine dell'anima hanno preso il sopravvento su quelle del corpo, gli istinti, le forze vitali e le energie che l'uomo spontaneamente liberava sono state condannate secondo giudizi morali rigidi e universalmente validi. 

"Ovunque è stata dominante la dottrina della pura spiritualità, essa ha distrutto con le sue aberrazioni l'energie nervose: insegnò a tener in spregio il corpo, a trascurarlo o a tormentarlo, e a tormentare e spregiare l'uomo stesso, a cagione di tutti gli istinti di quello; essa creò anime ottenebrate, cariche di tensione e oppressione, le quali, per di più, credevano di conoscere la causa del loro senso di abiezione e di poterla forse eliminare. 

- Deve risiedere nel corpo! Questo è sempre ancora troppo fiorente1 !"

La dottrina della spiritualità nel perseguire i suoi fini ha condannato la natura umana sottoponendola ai giudizi morali che essa stessa aveva creato.

In Aurora Nietzsche espone il meccanismo secondo cui il cristianesimo valuta e giudica l'agire umano in base a criteri di valore già battezzati come buoni e cattivi. Uno stesso istinto può essere giudicato buono o cattivo, vile o umile, in base al sentimento che il costume ha connesso ad esso. E' per questo meccanismo creatosi nel corso dei secoli che azioni e istinti reputati nobili nell'antica Grecia e ai tempi dell'Impero romano divengono oggetto di condanne da parte non solo della chiesa, ma anche e soprattutto dei propri simili. Osserva Nietzsche: “così i più antichi Greci hanno avuto, riguardo all'invidia, un sentimento diverso dal nostro; Esiodo l'annoverava tra gli effetti della buona, benefica Eris, e non c'era niente di urtante nell'attribuire agli dèi qualcosa di connesso con l'invidia2”.

Il termine di paragone, il metro di giudizio è dato. Tutta la realtà non può che essere subordinata a pochi precetti capaci addirittura di condizionare la volontà libera e istintiva divenuta coscienza. Com'è che ciò sia accaduto Nietzsche lo spiega nei suoi testi e lo fa sostenendo il duplice possibile sviluppo della volontà di potenza , essa infatti ha la duplice facoltà di espandere le proprie energie dando luogo ad un infinito irraggiamento delle forze vitali o, al contrario, può dire no alla vita terrena colpevolizzando il corpo, concentrando la propria attenzione sulla coscienza, sull'anima e sull'idea di morale. La morale, dunque, così come la coscienza, non sarebbero a detta di Nietzsche innaturali, sono piuttosto strade alternative in cui sfociano gli istinti di sopravvivenza dell'uomo, il quale avendo paura di restare intrappolato nella sua condizione animale reagisce al mondo e alla vita agendo contronatura. La morale così come si presenta è da distruggere, da azzerare in quanto non in grado di regolare sia i rapporti dell'uomo con i suoi simili, che quelli dell'uomo con se stesso. Essa in effetti deve necessariamente essere sostituita con una morale per spiriti liberi e fieri che non conoscono la colpa, il rimorso o la compassione in quanto ogni morale fino ad oggi conosciuta volge proprio contro gli istinti della vita rendendo l'anima prigione del corpo, così come affermava Nietzsche capovolgendo la tesi di Platone.

Appare evidente che nel momento stesso in cui si discute circa la posizione di Nietzsche riguardo i saperi che si sono imposti sul corpo, non si può non prendere in considerazione il medesimo argomento trattato circa mezzo secolo dopo da Michel Foucault, il quale non ha esitato in più occasioni di sottolineare il suo debito nei confronti del filosofo tedesco. Già nella tesi sull’Antropologia pragmatica di Immanuel Kant, Foucault studia meticolosamente il formarsi e lo svilupparsi della coscienza di sé: come osserva Stefano Catucci in Introduzione a Foucault, egli descrive il movimento attraverso cui il soggetto diventa oggetto delle proprie osservazioni e prende perciò <posto nel campo dell’esperienza, trovandosi immerso in un sistema di appartenenze concreto.>”3

Questo interrogativo riguardo la problematizzazione del soggetto se inquadrato all’interno di un contesto greco-latino evidenzia tutta una serie di pratiche volontarie che l’uomo mette in atto su se stesso col fine di stabilire non solo dei canoni comportamentali, ma di attuare una sorta di metamorfosi anche estetica rispondente a determinati criteri stilistici, pratiche queste soprannominate da Foucault arti esistenziali. Tali meccanismi che ebbero grande diffusione sia nella civiltà greca che in quella greco-romana si ridimensionarono a contatto col cristianesimo e con il delinearsi di pratiche nuove quali il potere pastorale, le dottrine educative e gli studi psicologici.

Attraverso il delinearsi di una estetica dell’esistenza si è creata una problematizzazione della sessualità, così come l’aver stabilito in campo medico un modello di normalità, e in campo giudiziario un modello disciplinare, avevano portato alla problematizzazione del folle con la conseguente messa a distanza del diverso e la costituzione di un sistema punitivo in vista della problematizzazione del crimine e del criminale. Foucault, dunque, partendo dalle osservazioni nietzscheane circa la formazione di una coscienza malata regolata e sempre nutrita da precetti morali che ne inibiscono lo slancio naturale, indaga il movimento del ritorno a sé e alla propria autenticità attraverso la genealogia e l'analitica del potere.

Il potere di cui entrambi parlano seppur con toni e punti di vista differenti è in primo luogo rintracciato e riconosciuto nel linguaggio, nei saperi che si sono diffusi e che sono divenuti inconsapevolmente gli argini e i limiti invalicabili oltre cui l'uomo non si spinge.

Tra il e il 1873 Nietzsche detta all'amico Gersdorf lo scritto Su verità e menzogna fuori dal senso morale in cui s'interroga circa l'uso strumentale che l'uomo fa della verità e della menzogna in politica come nelle relazioni interpersonali quotidiane. Non si può parlare né di una verità oggettiva, né di obbiettività laddove la conoscenza non è altro che arbitraria invenzione. Il momento esatto in cui stabilire la genesi del linguaggio, l'invenzione di quello strumento che tutto regola, non è rintracciabile, eppure Nitzsche non ha dubbi nel sostenere che “in qualche angolo remoto dell'universo, riverso nello scinitillio di innumerevoli sistemi solari, c'era una volta u astro, sul quale degli animali intelligenti inventarono la conoscenza Fu il minuto più presuntuoso e bugiardo della storia del mondo”4. Artefice di tale finzione è l'intelletto che al fine di raggiungere il proprio scopo, ossia quello della conservazione, dispiega la stragrande maggioranza delle sue forze nella finzione, nella lusinga e nella recitazione. Gli uomini per Nietzsche “sono profondamente immersi in illusioni e immagini oniriche, il loro occhio si volge solo alla superficie delle cose e vede solo forme; la loro esperienza sensibile non conduce affatto alla verità, bensì s'accontenta di ricevere stimoli e di giocare per così dire a tastare il dorso delle cose”5. Nel momento in cui gli uomini si sono riuniti e hanno necessariamente stipulato un patto, un trattato di pace, si è resa immediatamente necessaria la codificazione e la schematizzazione della realtà tutta in leggi fisse e universali alle quali attenersi per evitare uno stato di bellum omnium contra omnes. Vengono fissati in questo trattato il dominio della verità e della menzogna entro cui l'individuo può costruire se stesso e vivere le proprie esperienze, le quali vengono immediatamente trasposte in linguaggio per essere comunicate e divenire universali. Non c'è dunque una dimensione individuale e soggettiva, tutto si adatta al genere umano, tutto è universale. La realtà viene suddivisa in genere e in concetti che eludono l'individuale, “che cos'è allora la verità? Un esercito in movimento di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve, una somma di relazioni umane, che sono state poeticamente e retoricamente ingigantite, trasposte, ingioiellite, e che, per essere state usate a lungo, appaiono ad un popolo salde, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni, di cui si è dimenticati, che sono tali”6.

La questione a cui l'analisi nietzscheana perviene riguarda l'impulso alla verità che risiede comunque nell'uomo nonostante “finora abbia sentito parlare soltanto dell'obbligo, che la società impone, per esistere, per essere veritieri, cioè di adoperare le metafore in uso, quindi in termini morali:finora abbiamo sentito solo dell'obbligo di mentire secondo una convenzione stabilita, di mentire al modo del branco in uno stile vincolante per tutti […] egli mente inconsapevolmente e per abitudini secolari, e proprio per questa inconsapevolezza, proprio per quest'oblio giunge al sentimento della verità”7. Sul rapporto che intercorre tra il linguaggio e le cose, e queste ultime con l'uomo, si è a lungo soffermato anche Foucault e ciò è dovuto alla consapevolezza che egli ha ereditato da Nietzsche circa il rapporto falsato che l'uomo ha sia con la realtà che con se stesso e i propri simili. In una intervista con Madeleine Chapsal8, Foucault parla a proposito di un sistema anonimo, senza soggetto che è presente in tutte le epoche e che con esse cambia, mantenendo così la peculiarità di guidare con una struttura teorica il modo con cui le persone agiscono nel quotidiano anche nelle azioni più banali; “si pensa all'interno di un pensiero anonimo e vincolante che è quello di un'epoca e di un linguaggio. Questo pensiero e questo linguaggio hanno le loro leggi di trasformazione. Il compito della filosofia attuale e di tutte le discipline teoriche che le ho nominato è mettere in luce questo pensiero che precede il pensiero, questo sistema che precede ogni sistema... E' lo sfondo sul quale il nostro pensiero libero emerge per un istante”. Ogni pensare umano, ogni agire umano è dunque condizionato da un pensiero che tutto precede e che si ritirerà man mano che tale sistema verrà scoperto. Un'analisi quella appena abbozzata che conduce direttamente ai lavori in cui Nietzsche attacca e condanna senza riserva alcuna il cristianesimo – colpevole di aver ingannato l'uomo, di averlo impaurito e inibito al punto di fargli perdere le sue forze vitali avviluppandolo in una spirale di ricatti e menzogne millenarie -, e in cui Foucault, analizzando in modo capillare il potere, indaga la storia della normalizzazione e del governo sull'uomo, ciò che egli chiama bio-potere e bio-politica.


1Nietzsche, Aurora, Adelphi, Milano 2006, p. 34

2Ivi, p. 33, cfr. Esiodo, Opere e giorni, vv. 94-99

3 Cfr. Foucault, Introduction à L’Anthropologie de Kant,p. 72.

4Nietzsche, Su verità e menzogna fuori del senso morale, Filema, Napoli 2005, p. 23

5Ivi, p. 27

6Ivi, p. 41

7Ibidem

8Entretien avec Madeleine Chapsal,, in la Quinzaine Litteraire,n. 5, 16 maggio 1966, pp 14-15; tr. it. In Archivio Foucault 1, cit. pp 117-122

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