Focus Biennale-Alessandro Sciarroni e il Leone D'Oro della Danza alla Carriera


Il Consiglio di Amministrazione de La Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta ha annunciato da poco più di 20 giorni i Leoni per la Danza 2019 e quello d'oro alla carriera comincia a suscitare polemiche tra gli addetti ai lavori. A ricevere il riconoscimento è il coreografo e performer Alessandro Sciarroni “considerato fra i più rivoluzionari della scena europea” si legge nelle motivazioni della direttrice del settore Danza Marie Chouinard, che lo definisce anche il direttore d’orchestra dei danzatori e di tutti coloro che, provenienti da diverse discipline, invita a partecipare ai suoi progetti”. Non si può che essere orgogliosi di un proprio connazionale vincitore niente di meno che di un Leon D'Oro alla Carriera: 43 anni non ancora compiuti, originario di un paesino in provincia di Ascoli Piceno, sensibile all'arte fin da giovanissimo – prende lezioni di pianoforte negli anni del liceo - , si laurea in Conservazione dei Beni Culturali e si lascia incuriosire dal mondo del teatro fino a decidere di educarsi alla recitazione con la compagnia Lenz Rifrazioni, con i quali collaborerà dal 1998 fino al 2006. L'anno successivo fonda il suo spazio Corpo Celeste e crea il primo spettacolo: If I was your girlfriend, ma è nel 2011 che entra a far parte dei più discussi coreografi della scena contemporanea italiana grazie a Joseph, lavoro ironico, multidisciplinare, esperenziale. Negli anni partorisce uno stile immediatamente riconoscibile: lavora sulla ripetizione fino all'esasperazione, sul gioco e le arti circensi facendo dello spazio e delle cromie una miscela coraggiosa in cui la performance sfida la danza convenzionale.
Attore, performer, coreografo, studioso di arti visive ed esploratore di quelle performative, ricercatore in campo filmico, spaziale, sonoro e drammaturgico, nel 2015 è nominato coreografo associato del Balletto di Roma diretto da Roberto Casarotto e dal 2013 è chiamato a svolgere attività formativa presso la Biennale di Venezia settore Danza.

E' giusto domandare ad un artista quanto ha studiato? Ha senso condannare uno spirito creativo perché non vanta un percorso di formazione e di studi che rispecchi il senso comune e l'immaginario collettivo?
Insomma un curriculum non da poco, ma soprattutto un percorso formativo che suggerisce la smania di cercare e creare il nuovo, con la mente sgombra dal pregiudizio e con il corpo libero da qualsivoglia condizionamento accademico. Ma attenzione, forse è proprio questo che ha suscitato qualche polemica nell'ambiente danza, ancor più nel paese in cui l'ortodossia - quella retta via che guai a chi l'abbandona -, dice che se non vieni da anni di studi accademici tra esercizi di danza classica alla sbarra, se non hai iniziato a studiare danza a 5 anni, se non sei diplomato allora vade retro. Forse però qui c'è un vizio di forma, una sorta di accanimento nell'imprigionare la parola “danza” in una definizione che poi in fin dei conti non le appartiene. Sembra quasi di assistere alle diatribe dei nostalgici della pittura accademica di fronte ai quadri di Picasso o Modigliani. Danza non significa (per forza) studio della tecnica classica o modern o contemporanea che sia, non significa (per forza) studio della musica e delle partiture musicali, non significa neanche (per forza) studio dello spazio in relazione al tempo e al ritmo, danza significa danza, poi che la si voglia approcciare attraverso lo studio e la tecnica o attraverso un istinto primordiale o ancora attraverso la traduzione in movimento di concetti o immagini, dipende dalle scelte dell’artista. Alessandro Sciarroni ha vinto il Leone D'Oro alla carriera per la danza, lo ha vinto per la sua scrittura coreografica che si traduce in immagini uniche e irripetibili. Nei suoi lavori lo spazio, il ritmo, il tempo non sono più limiti funzionali a passi codificati e universalmente riconosciuti secondo canoni prestabiliti, la danza è una eterna istallazione artistica in movimento. Attenzione...altra cosa è il gusto e su quello non si discute!

Cos'è la danza? Chi fa danza? Come in ogni ambito anche in quello artistico si rischia troppo spesso di identificare la parte con il tutto e così, anche per la danza, si rischia troppo spesso di darne una definizione che ha valore assoluto e pretesa di verità. Ma la danza come la musica o la pittura non può essere definita o valutata in maniera dicotomica creando la spaccatura tra chi ha studiato e siede nell'olimpo e chi non ha studiato e porta l'onta. Si tratta del solito cannibalismo in ambito artistico.

Da un velocissimo e superficiale excursus temporale si evince che la danza sia stata dapprima magica e mossa da forze occulte come per le mènadi devote a Dioniso, poi religiosa nei culti politeisti come l'induismo, nel medioevo ha invece carattere essenzialmente mimico ed è nel Rinascimento che comincia ad essere classificata secondo la misura, il ritmo e il movimento fino ad essere successivamente codificata nella sua accezione di ballo di corte. Arrivano gli albori della danza classica come oggi la conosciamo. Giunge poi il tempo della ribelle Isadora Duncan e della sua danza libera, fino a Dalcroze che conferisce al movimento una base ritmica, si sviluppano poi il filone europeo e quello americano da Kurt Joos a Martha Graham e Merce Cunningham, si perdoni la velocità ma la finalità è altra dal fare la storia della danza. Insomma chi ha studiato cosa? Quanto hanno studiato? Cosa hanno studiato? Dalle prime tribù fino ad oggi la danza è movimento, esigenza creativa incessante e vorticosa, gesto nobile o viscerale, carica di erotismo o eterea, evocativa, descrittiva, simbolica, strutturata o improvvisata, terapeutica o di denuncia sociale. Chi ha deciso la superiorità di una danza rispetto ad un'altra? E come si può pensare che in un'arte così istintiva e poliedrica come la danza la retta via sia unicamente e incontrovertibilmente quella dello studio di tecniche codificate? Ci sono esigenze ed intenzioni, finalità personali e gusto: ognuno scelga il proprio percorso liberamente.Non si può, o per lo meno non si può più, mettere argini alla creatività in campo coreutico, non si può più ricondurre tutto alla fonte di una determinata danza con codici accettati e condivisi dai più, non è questo che legittima una danza rispetto ad un'altra, perché da sempre la danza è un'esigenza espressiva e limitarsi a riconoscere in essa unicamente una matrice occidentale accademica inaridisce tutte le lotte che si sono combattute per renderla libera dagli schemi che troppo a lungo l'hanno imprigionata togliendole la libertà e la spontaneità da cui ha preso vita. La danza di Sciarroni può non piacere, può non essere condivisa da un gusto su ampia scala, ma bisogna farsene una ragione: è commistione, è fusione, è ideazione personalissima di un linguaggio che può destabilizzare e confondere, ma è danza.

Un premio è un simbolo forte che dà un messaggio alla collettività, nel caso del Leone D'Oro a Sciarroni la Biennale di Venezia ha servito la causa della danza italiana?
Le obiezioni non mancano però del tutto, o forse sarebbe meglio chiamarle riflessioni: è politically correct dare un premio alla carriera a qualcuno che da 6 anni lavora per lo stesso ente che conferisce il premio? Alessandro Sciarroni ha collaborato come docente dal 2013 al 2015 con la Biennale settore Danza nel progetto Biennale College ovvero fin da quando Virgilio Sieni ne era il direttore. Nel 2017 è l'unico italiano presente alla Biennale che gli dedica una monografica con i lavori Aurora, Folk-s e Chroma , e nel gennaio scorso vengono lanciati due bandi internazionali dedicati a giovani danzatori e a nuovi coreografi (14 gennaio 2019 sul sito della Biennale) il cui lavoro inedito è creato da Sciarroni per poi annunciare il premio alla carriera appena 4 giorni dopo l'uscita del bando. Insomma, forse si potevano gestire meglio una presenza così assidua dal 2013 ad oggi e la scelta del conferimento del premio. E ancora, è sensato dare un premio alla carriera a chi produce una danza di nicchia che va in scena sempre e solo in piccoli spazi e raccoglie attorno a sé un pubblico colto e di settore non riuscendo ad arrivare al grande pubblico e di conseguenza non contribuendo a riempire grandi platee contribuendo ad un'operazione di rinfoltimento del pubblico per un settore eternamente in crisi? Insomma sembra proprio che si vada controcorrente in Italia rispetto alla maggior parte dei paesi occidentali in tema di danza, perché se in Italia si continua ininterrottamente più o meno dagli anni '70 a portare avanti una danza concettuale e di nicchia (sarà questo che ha allontanato il pubblico?) negli altri paesi si valorizzano coreografi e coreografe che muovono masse oceaniche di spettatori con lavori colossali e che attraversano il gusto in maniera trasversale “arrivando” a tutti e non solo ai tecnici del settore. Alla luce di queste riflessioni viene da pensare senza ombra di dubbio che il suo premio sia più che meritato in quanto artista, ma ci si chiede anche se sia un premio che serve la causa della danza in una contingenza storica come quella odierna con i tagli al fondo unico per lo spettacolo e la chiusura di corpi di ballo storici, manovre queste basate sulla convinzione (infondata) che la danza non faccia grandi numeri di botteghino e non generi grandi flussi di denaro.



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