Intervista a Francesco Colaleo pubblicata su Campadidanza Magazine

Francesco Colaleo in In-Corpo.Reo


Fonte Campadidanza Magazine:  http://www.campadidanza.it/intervista-a-francesco-colaleo/

video dell'intervista

Francesco Colaleo è un giovane danzatore e coreografo napoletano con formazione campana e aspirazione tutta europea impegnato in questi giorni col suo ultimo spettacolo In.Corpo.Reo. Lavora tra l’Italia e la Francia scegliendo progetti di danza contemporanea caratterizzati dalla ricerca e dall’ispirazione. Ha danzato in compagnie come l’Artemis Danza di Monica Casadei, la Compagnia Korper di Gennaro Cimmino, Les Danseurs Napolitains d’Ismael Ivo, il Collettivo Na.Da di Antonello Tudisco, la Compagnia Art Garage di Emma Cianchi, CZD Zappalà di Roberto Zappalà, Catania.
Nell’intervista che segue racconta la sua passione e dà qualche consiglio ai giovani ballerini che si approcciano alla danza.
Rivolgendoti ai ragazzi che sono nelle scuole di danza, ti sentiresti di dare qualche consiglio su come diventare danzatori professionisti una volta terminati gli studi coreutici?
Il consiglio è sicuramente di carattere pratico, nel senso che se si vuole portare a termine un percorso come quello di un diploma bisogna anche capire qual è l’ istituzione che lo rilascia. Se il diploma proviene da un ambito privato è consigliabile una specializzazione o prendere un attestato di master in Alta Formazione.
Tu cosa ha fatto dopo il diploma?
Io ho preso un master in Alta Formazione alla Biennale di Venezia, che, essendo finanziato dal Ministero dei Beni Culturali è universalmente riconosciuto. In caso contrario potrebbe non essere garantita la partecipazione a determinati concorsi. Come Istituzioni abbiamo in Italia gli Enti Lirici e l’Accademia di Roma. Questo nel resto d’ Europa non accade.
Quindi formulando un vero e proprio consiglio?
Il giovane deve riprogrammarsi, quasi come fosse un computer, avere l’umiltà di rimettersi a studiare e avere un’apertura tale da non pretendere di voler subito lavorare per non rischiare poi grandi delusioni. Il giovane ha questa fame, ma no si può lavorare subito e soprattutto per la danza contemporanea. Bisogna aspettare la maturità almeno dei 24 anni.
Hai avuto una guida che ti ha aiutato in questo nuovo percorso o hai capito tutto da solo?
Internet! A parte gli scherzi consiglio a tutti di utilizzare il web e poi il passa parola, gli incontri fortunati, come quando qualcuno per caso ti dice che c’è un’audizione.
Quindi un buon motore di ricerca potrebbe essere la curiosità?
Sì, assolutamente la curiosità. Io poi ho voluto cercare anche al di fuori della realtà campana, perché l’unica realtà a Napoli che davvero mi piaceva era quella di una compagnia di cui ho fatto parte “Les danceurs napolitains” di cui Ismael Ivo è il direttore artistico. Purtroppo però non è andata come volevo.
Perché hai scelto il contemporaneo?
Perché dialoga più profondamente con l’esigenza artistica ed è una dimensione in cui posso esprimere un messaggio.
Bisogna, secondo te, per forza esprimere un messaggio quando si danza?
No, ci si può muovere anche nell’astratto, però deve esserci una ricerca ancora più profonda, almeno per quanto riguarda il contemporaneo. Una ricerca che sia geometrica, anatomica, spaziale e non limitata ad un movimento su musica.
Senti il bisogno di comunicare?
Si, ma non è un comunicare in senso simbolico o narrativo, è più un ricercare. Contemporaneo perchè è ricerca, è porsi quesiti tanto astratti quanti narrativi. Ho bisogno di una ricerca che muova dal corpo: che sia contemporanea. Ho bisogno di ricerca e mai di cliché.
Ti ispiri ad un filone di danza contemporanea riconoscibile?
No, mi rifaccio al contemporaneo nel senso dell’adesso, del mio corpo nello spazio mentre condiziona, tanto lo spazio circostante che i corpi con cui si relaziona. Ho solo bisogno delle coordinate cartesiane: spazio e tempo.
E’ stato tramite l’improvvisazione che ti sei scoperto anche coreografo?
In realtà no. Lo devo alla mia formazione tutta campana. Fin da piccolo sono stato stimolato a creare. Credo che se non avessi cominciato a fare composizione anche per gioco, dai 14 anni fino forse ai 20, non avrei mai avuto un approccio così naturale.
Se non la danza cosa?
Sicuramente il giornalismo, o comunque la scrittura, la parola, ma forse anche la pittura, perché no!
Quindi comunicazione…
Si, ecco perché il contemporaneo. Non amo la danza da intrattenimento.
Per te la danza non può essere pura bellezza, espressione estetica e basta?
No, l’estetica di per sé m’indispone.
E allora il modern?
No, il modern m’indispone per l’appunto. So che si tratta di una possibile direzione, ma se devo dare un consiglio ai danzatori giovani mi sento di dire che devono tener presente il contesto storico in cui viviamo. Se intendono lavorare bisogna che sappiano che con il modern non è più possibile.
Ma forse intendi che non possono farlo in Italia?
Io credo che non sia possibile nemmeno più in America. E’ da considerarsi come un fenomeno storico, ma se si cerca il pane con il modern purtroppo è difficilissimo, a perte negli ambienti romani in cui si ritrovano ancora delle situazioni un po’ antiche.
E invece qual è la situazione del contemporaneo oggi in Italia?
Il contemporaneo in Italia spesso si fa a livelli concettuali in cui ti sparano lavori pesantissimi, come in tutto il nord: per esempio nel Veneto e in Emilia, per cui devi avere un desiderio sterminato e tanta forza d’animo per comprendere o per prenderne parte.
Si può allora dire, secondo quanto tu affermi, che in Italia non ci sono che due veri filoni: balletto e contemporaneo.
Mi sembra che troppo spesso accada di assistere a performances di danza contemporanea in cui si avverte la totale assenza di qualsivoglia forma di tecnica o virtuosismo da parte dei danzatori. Pare che troppo spesso ci si perda in improvvisazioni in scena che diventano a dir poco noiose per un un pubblico che dal danzatore si aspetta, anche e soprattutto, atleticità e preparazione.
Si, in effetti accade che delle performances siano terribilmente noiose e che lo spettatore si chieda cosa stia accadendo.
A questo punto della nostra conversazione ti senti di dare un consiglio ai futuri coreografi?
Credo che nel momento in cui ci si approcci alla creazione di un lavoro ci sia bisogno che l’artista faccia un compromesso con se stesso, e con il pubblico, che porti ad un atto di grande generosità ovvero non produrre niente di ermetico o di pigro, tenersi lontano dal proporre qualcosa che si spacci per umile, ma che in effetti è solo terribilmente gotico. Quello che più m’infastidisce è lo psicodramma.
Che finisce spesso per dimenticare l’estetica?
E quello è il peggior cliché.
Si può allora dire agli aspiranti coreografi d’impegnarsi a creare un lavoro coreografico fin nei minimi dettagli? Dal costume, agli accessori di scena, alla coreografia in sé? Si può dire che anche la danza contemporanea ha un’estetica?
Tutto ciò di cui parli è la prima forma di ricerca a cui mi riferisco. L’errore più grande è credere che la ricerca sia ormai data, bisogna andare oltre e continuare a cercare e a produrre prodotti di altissima qualità e rigore nel rispetto del pubblico.
Grazie Francesco per il tempo che mi hai dedicato e in bocca al lupo per il tuo futuro.
Grazie a te e crepi.

 Manuela Barbato

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